La guerra della disinformazione: i social media nel conflitto tra Israele e Palestina

Il conflitto tra Israele e Palestina è tornato al centro della copertura mediatica, dopo l’attacco senza precedenti da parte di Hamas verso Israele – e più sotto leggerai un breve riepilogo. Ma come sempre accade, il campo di battaglia è molto più ampio di quanto immaginiamo e la guerra della disinformazione è tutt’altro che da sottovalutare. Con questo articolo esploriamo i meccanismi della disinformazione, con esempi concreti tratti da ciò che possiamo trovare fin troppo facilmente online. Con un focus sui social network.

La guerra della disinformazione e le armi del fact-checking

Il fact-checking, cioè la verifica delle fonti, è la migliore arma che ognuno di noi possiede per evitare di essere coinvolto nella guerra della disinformazione e di essere manipolato da notizie false o fuorvianti. E queste armi sono tanto più importanti quando si entra in un tema come quello del conflitto israelo-palestinese, in grado di scatenare discussioni aggressive, pericolose ed estremamente polarizzanti.

I titoli sensazionalistici e le flash news che leggiamo su molte testate, blog e social tendono a rimandare solo una piccolissima parte di quella che è una realtà molto intricata. Per di più, è facile trovare racconti che danno spazio a una parte o all’altra, alimentando nell’opinione pubblica quelle etichette tra “buoni” contro “cattivi” che non fanno bene a nessuno.

Ecco perché a volte è difficile capire quanto di ciò che leggiamo, ascoltiamo e vediamo sia veramente accurato e vada al di là di miti, distorsioni e semplificazioni. Ma vediamo prima, in modo breve e chiaro, che cosa sta succedendo tra Palestina e Israele.

Qual è l’origine del conflitto?

I fatti che popolano i media in questi giorni di ottobre si riferiscono all’attacco che Hamas, organizzazione considerata terroristica da Europa, Canada, Stati Uniti e altri Paesi, ha sferrato a sorpresa nei confronti di Israeli. Terreno di battaglia è la Striscia di Gaza, che si trova nel centro-ovest di Israele, sul mare, al confine con l’Egitto. È una vera e propria polveriera, un intricato tessuto di tensioni e conflitti che hanno radici nella Seconda Guerra Mondiale (ma le ragioni profonde vanno cercate ancora più indietro).

Perché la Seconda Guerra Mondiale? Perché la pressione per la creazione di uno Stato ebraico aumentò a tal punto che l’ONU decise di approvare la creazione di due Stati: ebraico e arabo. Quando i leader arabi rifiutarono questa offerta scoppiò una prima guerra, che portò alla dichiarazione d’indipendenza di Israele nel 1948.

La conseguenza fu quella che viene conosciuta come nakba (“catastrofe”, in arabo): cioè la fuga e l’espulsione di circa 700.000 palestinesi dai loro luoghi d’origine. Da quel momento è stato un susseguirsi di guerre, insurrezioni e trattati di pace più o meno rispettati.

La guerra della disinformazione colpisce anche nel conflitto tra Israele e Palestina
Pic by Chuttersnap TtzymjuiSqCE via @unsplash

La guerra della disinformazione: che cosa significa?

Oggi il campo di battaglia di una guerra non è più solo quello fisico, ma anche quello del web: meno tangibile, certo, ma comunque. Perché è qui che è possibile manipolare governi e opinione pubblica: ed ecco perché avrai sentito dire spesso che il vero potere è nelle mani di chi controlla l’informazione.

E se è vero che le notizie false girano dalla notte dei tempi, è anche vero che le piattaforme social hanno offerto terreno fertile alla guerra della disinformazione e amplificato enormemente la sua portata. Ma quali sono i meccanismi che ne facilitano la diffusione? Newsguard, uno dei siti di riferimento per verificare l’attendibilità di siti e notizie, ha individuato alcune narrazioni false sulla guerra in Israele, sia sui social che su diversi siti. Il problema è che, una volta messa in circolo, una notizia falsa può raggiungere chiunque: ne basta una soltanto per creare danni enormi.

Per restringere lo sguardo ai social, ecco che tipo di disinformazione possiamo trovare in quelli più famosi – e poi li vediamo in dettaglio:

  • TWITTER: manipolazione degli hashtag.
  • FACEBOOK: notizie e video falsi o fuorvianti.
  • INSTAGRAM: immagini fuorvianti.
  • TIK TOK: video falsi.

Ma ricordiamo che la disinformazione si propaga anche attraverso canali a cui forse non pensiamo: come le catene di messaggi WhatsApp.

Effetti sulla Percezione Pubblica

L’effetto di questa guerra della disinformazione va però oltre la diffusione di notizie false, che già di per sé è gravissima. Perché non ci fa credere soltanto cose che non sono vere, ma alimenta anche l’odio, erode la fiducia nelle istituzioni e polarizza le opinioni, creando un ambiente fertile per l’estremismo. Questi effetti sono particolarmente problematici nel contesto Israele-Palestina, dove la disinformazione può avere conseguenze immediate e spesso tragiche, dalle proteste di massa ai conflitti armati fino a influenzare le decisioni diplomatiche.

L’importanza del fact-checking

In un clima in cui la disinformazione è così diffusa e dannosa, il fact-checking assume un ruolo fondamentale: la verifica delle fonti è l’unica, vera arma che ognuno di noi ha (e su questo sito puoi trovare diversi articoli sull’argomento, come “Fact-checking in Medio Oriente, quali sono le sfide?”).

Questo non vale solo per chi fa informazione, ma anche per chi si informa. Allenare uno spirito critico e conoscere gli strumenti per non farci manipolare o non restare ingabbiati nella bolla della targhettizzazione è fondamentale. Vediamo di seguito quali forme stia assumendo la guerra alla disinformazione nei diversi canali social.

1. Facebook

Un social come Facebook offre terreno fertile alla diffusione di notizie false e alla proliferazione di gruppi che diventano bolle a loro volta, dense di discussioni polarizzate. Abbiamo visto queste dinamiche nel corso della pandemia di Covid e le ritroviamo nella narrazione dei conflitti,

Fra l’altro, queste discussioni o prese di posizione sono spesso accompagnate da “prove”, cioè articoli che possono sembrare anche ben fatti e legittimi al primo colpo: salvo essere stati architettati con lo scopo di manipolare le opinioni. La forza di Facebook è ancora potenzialmente enorme e le campagne di disinformazione, se ben organizzate, possono raggiungere milioni di utenti in poco tempo.

Pic by David Mclenachan via @unsplash

2. Instagram

Qui va da sé che il problema siano soprattutto le immagini – in misura minore i video. Si tratta di immagini a volte completamente false, altre volte fuorvianti. Che cosa significa? Significa che un certo dettaglio è fuori dal suo reale contesto o, ancora, è stato posto in un contesto del tutto falso. A ogni modo, ognuna di queste immagini può avere un impatto emotivo enorme e dare vita a narrazioni distorte.

3. Tik Tok

Se Tik Tok è il regno dei video, è proprio tra i video che qui si gioca la guerra della disinformazione. Uno degli esempi più eclatanti è anche il più agghiacciante: bambini tenuti in gabbia da militanti di Hamas dopo l’ultimo attacco contro Israele. Ma questo non può essere vero, perché era stato fatto girare da diversi account ancora prima che scoppiassero gli ultimi scontri nella Striscia di Gaza.

E allora la domanda diventa: chi sono quei bambini? Chi li sta tenendo in ostaggio e dove? Qualcuno li sta cercando?

4. Twitter

Qui, la manipolazione degli hashtag è una tattica comune. Se si creano nuovi hashtag o si dirottano quelli più popolari verso conversazioni manipolate, si può facilmente spostare l’attenzione su temi specifici e distorcere il dibattito pubblico. Risultato: si sposta l’attenzione da ciò che è davvero importante.

Tu hai visto video o immagini in cui hai creduto, e si sono poi rivelate false? Confrontiamoci nei commenti.

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