La silenziosa rivoluzione delle donne iraniane all’estero

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Social e articoli, televisioni, radio e podcast. Le proteste di Teheran hanno varcato i confini nazionali e trovato sostegno in tutto il mondo, grazie anche a una rete costruita da persone, famose e non, che ogni giorno ci mettono la faccia e raccontano ciò che succede in Iran.

Ma c’è anche un altro tipo di sostegno, diverso ma non meno forte e non meno sentito: quello delle donne che non vivono più in Iran e che ogni giorno cercano di fare qualcosa, nel loro piccolo, per sostenere i propri concittadini e portare avanti con loro la rivoluzione. Ma lo fanno senza metterci la faccia, per una miriade di ragioni che non sono né giuste, né sbagliate: sono semplicemente le loro ragioni. È la rivoluzione silenziosa delle donne iraniane all’estero, ma anche di tanti uomini.

La silenziosa rivoluzione delle donne iraniane: la storia di Fariba.

Fariba oggi abita a Milano e studia all’università, ma tutta la sua famiglia vive in Iran e precisamente a Tabriz, nell’estremo nord ovest del Paese: aveva in programma di andare a trovare i suoi dopo l’ultimo esame della sessione autunnale, intorno a ottobre. Ha dovuto cancellare quel viaggio, a causa delle proteste che ormai dilagavano in Iran.

“Non chiamiamole proteste per favore, chiamiamole invece per quello che sono: una vera e propria rivoluzione”.

Questa è una delle prime cose che Fariba vuole mettere in chiaro: gli iraniani stanno vivendo una rivoluzione. Innanzitutto perché non si tratta di proteste isolate o concentrate in alcune parti del Paese, ma coinvolgono la nazione intera. “È ovunque”, puntualizza.

E poi perché “siamo tutti disposti a tutto: non può andare peggio di così, non abbiamo nulla da perdere”.

Da quando tutto ha avuto inizio, il 16 settembre 2022 con la morte di Mahsa Jina Amini, Fariba ha cominciato a essere molto attiva sui social per gridare al mondo che cosa stava accadendo nel suo Paese.

Alcuni giorni dopo, però, decise di cambiare nome al suo profilo Instagram per evitare problemi, e non solo per se stessa: “Il governo controlla ogni cosa e, quando non può raggiungere chi vive all’estero, effettua interrogatori ai familiari che abitano ancora nel Paese”. Interrogatori a cui nessuno vuole andare incontro.

Da quel momento Fariba non ha mancato un giorno di pubblicare e denunciare le repressioni del regime o le morti. Qualche volta si è esposta fino a mostrare, di spalle, i suoi capelli lunghi, ormai diventati uno dei simboli di questa rivoluzione. È musulmana ma non porta il velo, perché il velo è una scelta, non un’imposizione.

Piazza Azzadi a Teheran.

La difficile scelta dei medici: come curare anche chi si oppone al regime?

Ma come stanno vivendo i suoi familiari, in Iran? “Male: i miei genitori sono entrambi medici di base e si trovano in una posizione estremamente delicata” ci spiega: “Vogliono poter continuare a curare i loro pazienti, ma desiderano anche aiutare chi scende in piazza, chi viene ferito dalla polizia e via dicendo”.

Le due cose sono incompatibili? Sì, perché la repressione non risparmia nessuno: “I miei genitori hanno visto colleghi finire in prigione, solo perché avevano osato curare persone coinvolte in scontri con la polizia” aggiunge Fariba. Senza mai dimenticare casi ancora più estremi, come la morte della dottoressa Aida Rostami: scomparsa per qualche giorno a inizio dicembre, il corpo fu restituito alla famiglia dalle autorità, che hanno attribuito la morte della dottoressa a un incidente stradale. Le condizioni della salma, però, avrebbero indotto i medici legali a pensare a una morte per tortura.

E allora bisogna scegliere: la decisione dei suoi genitori è stata quella di continuare a lavorare attenendosi alle regole, per poter aiutare più persone possibili: un dottore in meno può fare molta differenza, in situazioni simili.

La rivoluzione silenziosa passa attraverso il web, ma non solo.

Fariba si sente profondamente parte di quel gruppo di iraniani che cercano di fare qualcosa ogni giorno, sia per proprio conto, sia coordinandosi con un network che collega altri iraniani nel mondo. Piccoli network privati e altri molto più ampi, come Iran International o IranWire.

Che cosa fanno, nella pratica, le protagoniste di questa rivoluzione silenziosa? Cercano notizie a ogni ora del giorno, quasi ossessivamente. Si confrontano tra loro, raggiungono familiari e amici in Iran per saperne ancora di più. E poi pubblicano, su qualsiasi canale, quello che hanno letto o sentito.

Si pubblica tutto ciò che si trova, indistintamente? “Certo che no: non è nel nostro interesse diffondere fake news, perché daremmo al regime l’occasione per minimizzare anche ciò che è reale” risponde Fariba. Si pubblica, insomma, solo quando si è certi di una notizia.

“Diffondiamo, per esempio, le date delle giornate di scioperi nel Paese, in modo che chi è in Iran possa unirsi” ci racconta, “ma siccome i social non sono sempre accessibili, alla fine la parte più importante la fa chi vive lì: distribuendo volantini, per esempio, o con il passaparola, e rischiando così di essere intercettati dalla polizia morale” Tutto questo a dispetto dei pericoli a cui si va incontro quando si partecipa a scioperi e manifestazioni: i negozi che scioperano vengono immediatamente chiusi e i proprietari arrestati.

Veduta aerea di Teheran.

Questa rete silenziosa ha un leader? No, almeno per ora.

Tutte queste iniziative partono da qualcuno in particolare? “Come un leader? No, a oggi noi iraniani non ci riconosciamo in un leader e al momento neanche lo vogliamo”.

Perché? “Perché le ferite e le delusioni arrivate dalla classe governativa negli ultimi decenni sono state troppo forti” aggiunge Fariba. “Non vogliamo che questa rivoluzione, in cui crediamo profondamente, finisca con il mettere a capo del Paese un altro uomo che non cambierà nulla, nella sostanza” risponde Fariba.

L’obiettivo, insomma, è quello di riportare la libertà in Iran, la libertà per le donne ma anche per gli uomini e, insieme, la possibilità di decidere ognuno per sé la propria vita. “Donna, vita, libertà” è il motto della rivoluzione iraniana oggi, in cui è chiesto anche agli uomini di fare la loro parte, perché uno Stato è fatto di donne e di uomini uniti. E, così, anche questa silenziosa rivoluzione delle donne iraniane all’estero non prescinde mai dal supporto maschile,

La questione diplomatica.

Fariba, poi, mi esprime anche tutta la sua commozione nel pensare a quanto supporto stia ricevendo il suo Paese da tutto il mondo. Con un “però”: “Perché mai le ambasciate in Iran non hanno chiuso? E perché gli ambasciatori iraniani non sono stati espulsi dai Paesi che li ospitano? Agli occhi di Teheran questo significa una cosa sola: l’appoggio della politica internazionale non è venuto meno”.

    E così Fariba tocca un’altra questione delicata: quella della diplomazia. Che non ha ancora abbandonato Teheran e, del resto, non è cosa semplice da fare. Qui puoi trovare un elenco di tutte le rappresentanze diplomatiche in Iran.

    Chiudere un’ambasciata è una decisione che, di solito, viene presa in stato di guerra, quando la sicurezza del personale è a rischio – o quando i fondi scarseggiano e la presenza in un Paese non giustifica l’investimento. A dicembre, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha chiesto all’ambasciatore iraniano a Roma di comunicare a Teheran la richiesta di sospendere le esecuzioni capitali. La risposta è stata immediata e chiara: un Paese straniero non deve intromettersi negli affari interni di un altro. Un episodio, questo, emblematico di quanto siano delicati i rapporti tra due Paesi.

    “Siamo stanchi del supporto sempre e soltanto verbale dei leader stranieri, soprattutto di quelli occidentali” aggiunge Fariba: “Manca la sostanza, non fanno alcun tipo di mossa politicamente importante, che vada nella direzione di fermare i crimini commessi dal governo”.

    Ma c’è di più: anche le sanzioni e gli accordi presi tra i leader stranieri e Teheran per limitare l’attività nucleare iraniana non appaiono sufficienti agli occhi di queste donne impegnate nella loro rivoluzione silenziosa: la soluzione? Interrompere del tutto le relazioni. Ma, come abbiamo detto prima, non è cosa semplice.

    E adesso chiedo a te: avevi mai pensato a questo tipo di rivoluzione, più “silenziosa”? Hai domande in merito o desideri approfondirne degli aspetti? Scrivimi nei commenti o contattami sui social, ti risponderò con estremo piacere!

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