Se dici la tua, sbagli. Se poi ti schieri, ovviamente sbagli. E se invece eviti di esprimerti, sbagli comunque. La ripresa del conflitto in Palestina e a Gaza, ci ha messo tutti di fronte a quello che sembra proprio un dato di fatto: la società non è pronta per parlare di pace, almeno non in quell’angolo di mondo. O almeno, non è pronta per farlo in modo rispettoso, non violento e pensando soltanto alle persone, ai civili coinvolti.
Quell’angolo di mondo scatena rabbie, rancori, odio che a volte nulla hanno a che fare con l’effettiva situazione, ma hanno radici molto più profonde, se non addirittura personali. E così, succede che se pensi alle migliaia di persone uccise da entrambe le parti, puoi sentirti dire che dovresti andare più a fondo, se condanni gli attacchi di Israele sei antisemita e se condanni quelli di Hamas sei islamofobico. C’è qualcosa di profondamente sconcertante nel sapere che non siamo in grado di andare oltre, nel sapere che siamo ingabbiati anche quando si parla di temi dove la soluzione sembra così semplice: il dialogo.
Stai per leggere un articolo un po’ diverso dal (mio) solito. È il frutto di una serie di confronti che ho avuto con freelance e solopreneur proprio sulle difficoltà di esprimersi in merito a un tema così ampio come quello della pace – soprattutto quando la pace auspicata è quella in Medio Oriente e in Palestina in particolare.
Qui cercherò di portare diverse prospettive e di stimolare riflessioni e confronti: l’equilibrio tra etica personale e successo imprenditoriale è un tema sempre più dibattuto nell’era dell’informazione globale e della comunicazione digitale. Ecco perché credo che sia importante capire quali siano le pressioni che sentono di dover sostenere i solopreneur quando desiderano parlare di pace ma anche cercare di navigare tra i propri valori e la prosperità aziendale. E a queste riflessioni spero che vorrai partecipare anche tu: potremo parlarne nei commenti e continuare a scrivere insieme questo articolo.
Faccio uscire la mia voce, o meglio restare in silenzio?
Questo è il dubbio di tanti – se non di tutti – nelle ultime settimane. Perché? Perché l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023 ha riacceso il conflitto nella Striscia di gaza e, insieme agli scontri, ha infiammato anche le discussioni. Pochi altri temi, in tutto il mondo, scatenano dibattiti altrettanto polarizzanti come la questione israelo-palestinese e causano censure o auto-censure: basti pensare ai danni di immagine subiti da molti personaggi pubblici che si sono schierati a favore dell’una o dell’altra parte. Oltre ai molti contrasti che hanno visto protagoniste aziende famose, ecco giusto un paio tra gli esempi più famosi:
- Bella Hadid. La supermodella americana, di madre olandese e padre palestinese, si è espressa a favore dei palestinesi. Risultato: migliaia di follower in meno in pochi minuti e il licenziamento come testimonial (storica) della campagna pubblicitaria di Dior. A rimpiazzarla, la modella israeliana May Tager .
- Kylie Jenner, invece, ha sostenuto Israele: anche qui, immediatamente, un milione di follower in meno.

Qui, però, non riflettiamo sugli effetti dello schierarsi a favore di una parte o dell’altra. Andiamo oltre lo stesso conflitto mediorientale per capire come mai parlare di pace in generale, soprattutto se in riferimento a una guerra come quella tra Israele e Hamas, possa recare danni a un business.
Il ruolo dei social media
I social media hanno trasformato il modo in cui le informazioni vengono condivise e percepite, soprattutto per i piccoli imprenditori, che si affidano a queste piattaforme per implementare la propria presenza di mercato. Per chi è solopreneur, i social media sono uno strumento vitale per raggiungere clienti, creare una community e costruire un brand autorevole. Tuttavia, quando si verifica un conflitto globale, la questione se esprimere o no un’opinione su temi delicati come la pace può diventare un vero e proprio dilemma, tanto più se pensiamo alla disinformazione che imperversa nelle piattaforme (Ne ho parlato QUI).
La pressione del silenzio. I solopreneurs possono sentire la pressione di rimanere in silenzio per vari motivi. Uno dei principali è la paura di perdere una parte di clienti e allontanare definitivamente quelli che stavano entrando nella loro orbita professionale. Il motivo? Opinioni troppo diverse su un conflitto in corso, proprio come succede per quello in Palestina. In più, potrebbe esserci anche un’altra preoccupazione: prendere una posizione potrebbe etichettare professionista e business senza considerare l’intero spettro dei valori personali e aziendali.
La paura di ripercussioni. Le conseguenze possono essere molte, anche nella sfera personale: dalla perdita di follower o di engagement a campagne di boicottaggio, dal doxxing (la divulgazione di dati privati) agli attacchi informatici. E basta una sola di queste a danneggiare il passaparola digitale.
I social media come amplificatori. Se i social media hanno il potere di amplificare ogni messaggio, ecco che i solopreneur devono navigare con estrema attenzione queste acque e ricordare come ogni post o commento può essere potenzialmente usato contro di loro. a un pubblico vasto e diversificato. Eppure, esprimere un’opinione su questioni di pace può anche avere un impatto positivo: vediamo come.
Strategie di comunicazione nel parlare di pace.
Quando una (o un) solopreneur sceglie di esprimere un’opinione su questioni di pace, o magari di parlare della cultura che viene messa a repentaglio dallo scoppio di una guerra, può diventare un esempio positivo: e, attraverso la condivisione e il supporto di individui che ne condividono i valori, può vedere aumentare la visibilità del suo marchio. Senza trascurare il fatto, che in questo modo, può anche attrarre una clientela altrettanto allineata.

Ma in che modo si può trovare un equilibrio? Io credo che ognuno debba trovare il proprio, nel rispetto dei propri valori. Ecco, comunque, alcuni consigli per trovare le proprie linee guida:
- Costruire una narrativa coerente e autentica, che rifletta i propri valori.
- Evitare toni che sollecitino discussioni polarizzanti.
- Creare spazi di dialogo – rispettoso e costruttivo – con le persone.
- Pianificare contenuti che tengano conto della diversa sensibilità dei vari gruppi di pubblico.
- Capire come gestire gli eventuali feedback negativi o gli hater.
E quando si sceglie l’autocensura?
Può sembrare la via più semplice, ma io non credo che sia sempre così. Ci sono persone e professionisti che scelgono di non esprimersi su temi come quello della cultura in tempi di guerra, proprio per evitare un drastico calo di clienti e, quindi, di profitti. Ma non solo. Ci possono essere anche altri motivi che porta i solopreneur a preferire il silenzio. Per esempio il timore di perdere la collaborazione con i rispettivi fornitori o distributori.
I vantaggi, sì, possono esserci nell’immediato. Ma a lungo termine? Un’autocensura potrebbe portare clienti e target potenziale, con il tempo, a percepire la (o il) professionista come distaccata, o interessata solo al guadagno, priva di coraggio e di empatia.
E c’è un altro fattore da considerare. Se scegliamo di restare in silenzio, ci sarà comunque qualcuno a cui rendere conto: noi stessi. E sappiamo tutti molto bene quanto possa essere difficile questo confronto.
La voce dei media: tra potere e responsabilità.
I giornalisti e i blogger giocano un ruolo cruciale nel plasmare l’opinione pubblica. Come possono farlo?
- Selezione delle notizie. Chi fa informazione ha il potere di decidere quali eventi far conoscere al resto del mondo. E, con i fatti, possono finire con l’enfatizzare alcuni aspetti di un conflitti o anche delle questioni connesse alla pace.
- Framing e tono. Tutto ciò che gira intorno a una notizia – dal linguaggio alle immagini, dai titoli al tono di voce – suscita emozioni specifiche. Ecco perché il modo in cui si riportano certi fatti può da solo indurre il pubblico a vedere la pace e il dialogo sotto una luce particolare.
- Reportage di storie personali. Anche le storie personali che si sceglie di raccontare svolgono un ruolo importante nella narrazione della pace.
Il valore etico dell’esprimersi.
Ma allora quello di esprimersi oppure no è sempre una scelta calcolata? Probabilmente sì, per chi ha un business. Ma non dovremmo mai dimenticare l’impatto che possiamo avere su chi ci sta intorno. Ognuno di noi ha l’opportunità di promuovere valori come la pace, il dialogo e il rispetto anche solo attraverso un post sui social o una conversazione con i propri clienti.
Pensare a un benessere più ampio e comunicare i nostri valori potrebbe essere una scelta quasi controcorrente di questi tempi. E, forse proprio per questo, potrebbe scatenare un effetto domino importante.
Qual è il tuo punto di vista su questo tema? Continuiamo la riflessione nei commenti.