Lingue e culture, orgoglio e appartenenza. Quando decidiamo quali lingue studiare – o trasmettere – siamo influenzati da diversi fattori, molti dei quali vanno al di là di un nostro reale interesse verso suoni particolari o segni grafici. In questo articolo, la Family Language Coach Najwa Saady ci spiega come pregiudizi culturali e pregiudizi linguistici non solo si influenzino a vicenda, ma siano anche strettamente connessi fra loro. E, alla fine, ci fornisce anche dei consigli pratici su come trasmettere una lingua e una cultura innanzitutto a noi stessi e, soltanto dopo, anche ai nostri figli.
Scegliere quali lingue studiare: è solo una questione di utilità?
Qual è la lingua più parlata al mondo? E quale mi servirà di più nel lavoro? Diciamoci la verità: a ognuno di noi (o quasi!) sono venute in mente domande del genere, nel momento in cui abbiamo dovuto o voluto approcciarci a una lingua straniera. E ancora di più ci capita se abbiamo dei figli, perché è inevitabile proiettarsi nel futuro e immaginare quei nostri piccoli, ormai adulti, viaggiare per il mondo per lavoro o per piacere.
Questo succede perché, quando parliamo di lingue, troppo spesso le sganciamo proprio da quelle culture da cui provengono. E la lingua diventa una sorta di entità astratta, qualcosa che “deve” essere studiata solo se può esserci utile – di solito nella sfera professionale. Ma questo approccio è estremamente riduttivo, perché non ci permette di crescere e di imparare davvero. Certo, sappiamo bene quanto sia importante contare sulla conoscenza di una o più lingue. Ma importante per chi? E per quale motivo?
Sono queste le domande da cui dovremmo partire: capire che cosa vogliamo imparare quando studiamo una lingua, e che cosa vogliamo trasmettere ai nostri figli quando la scegliamo al posto loro. E, soprattutto, capire che cosa significhi, davvero, apprendere una lingua. Perché? Perché una lingua è molto di più di un insieme di fonemi e segni grafici: è un vero e proprio mondo che custodisce un patrimonio culturale.
“La lingua porta con sé un bagaglio enorme, con aspetti che abbracciano la cultura dalla quale deriva ” ci spiega Najwa Saady, Family Language Coach e fondatrice del progetto Armonia Multilingue (oltre che bambina bilingue prima, e donna multilingue oggi). “Quando ci interfacciamo con il mondo, tutto questo bagaglio emerge, così come affiorano anche i pregiudizi nei confronti delle culture stesse: lo vediamo, per esempio, nello scarso o nullo interesse di una società nei confronti di certe lingue, oppure nelle risorse che un Paese mette a disposizione nel promuoverne altre”.
Anche questo è un approccio molto miope. E tantomeno ci consente di costruire ponti e connessioni con altri Paesi e con altre culture. Facciamo qualche esempio pratico?

Stereotipi e pregiudizi: quando la società sceglie per noi quali lingue studiare
Un esempio classico è quello dell’inglese. “L’inglese è la lingua più valorizzata e conosciuta al mondo, tant’è che la troviamo all’interno del curriculum scolastico di quasi tutti i Paesi” ci illustra Saady. “Al contrario, il 99% delle lingue non solo non viene proposto, ma non viene neppure mostrato, spiegato e tanto meno valorizzato nelle scuole”. Pensiamo all’Italia: nonostante la presenza di molti bambini che, all’interno delle rispettive famiglie, parlano lingue che vanno dal cingalese al cinese, dal wolof all’arabo, le scuole restano ferme sull’insegnamento delle stesse lingue, senza neppure proporre programmi o focus dedicati ad altre.
Ecco allora che, se desidero imparare il cingalese o il norvegese, dovrò attivarmi io per cercare il modo di studiarle. Mi rivolgerò quindi a una scuola privata, magari online, o a insegnanti singoli o ancora, se sono in grado, farò homeschooling. Ma un modello del genere, che ignora certe lingue e culture in modo così netto, dando invece spazio a lingue e culture che si pongono come privilegiate, quanto può essere sostenibile?
Esistono lingue di status basso e lingue – e culture – privilegiate?
Per capire l’importanza di un’inversione di tendenza, prendiamo a modello una famiglia bilingue o multilingue. “Mi è capitato di parlare con persone che vogliono essere aiutate nel trasmettere l’inglese ai propri figli anche in casa, e fin qui non ci sarebbe nulla di strano” ci racconta Saady. “Diventa però un tema sui cui ragionare quando la lingua di casa è un’altra, per esempio il wolof o il cingalese, che però viene ritenuta inutile dalla famiglia stessa: questo capita molto più spesso di quanto immaginiamo e può diventare un problema se questa scelta viene incoraggiata dall’intervento del personale docente”. Perché?
“In molti pensano che una lingua debba essere una porta per il successo, ma così facendo perdiamo tutto il discorso identitario che c’è dietro: scegliere di non trasmettere una lingua significa, in realtà, negare ai propri figli la possibilità di riconoscersi all’interno di quella identità, in modo armonico e interculturale”. Queste sono tematiche ricorrenti, in Italia ma anche all’estero, e che investono lingue ritenute di “status basso”: italiano compreso.
Facciamo subito un altro esempio pratico. “Ho parlato con più genitori italiani che si sono trasferiti all’estero e che mio hanno chiesto di supportarli nel trasmettere proprio l’italiano” ci racconta Saady. “Bene, gli insegnanti dei loro figli consigliavano di non parlare più la lingua di casa (l’italiano, n.d.r.), almeno per un po’, per permettere ai bambini di immergersi totalmente nella nuova lingua e nella nuova cultura”.
Ma, c’è un “ma”: “La cosa curiosa è che questo discorso non era stato fatto a quei bambini la cui lingua di casa era l’inglese”. Questo è un messaggio chiaro, che parla da sé, e che viene ben percepito dai bambini stessi, i quali potrebbero cominciare a provare emozioni come addirittura la vergogna, nei confronti della lingua e, ripetiamolo, della cultura da cui provengono i genitori. Fino ad arrivare al rifiuto.

Come invertire la rotta?
Per invertire la rotta bisogna innanzitutto sensibilizzare (e sensibilizzarsi!) nei confronti dell’importanza vitale di ogni cultura, prima ancora che di ogni lingua. Finché ci saranno culture di serie A e altre di serie B si potranno fare ben pochi passi avanti. Cominciamo allora da noi, sia che siamo famiglie bilingue che monolingui. “Che poi non esistono famiglie monolingui” fa notare Saady: “Basti pensare soltanto ai dialetti italiani”.
Eppure, non sempre i genitori hanno questa consapevolezza o le risorse per poter andare avanti da soli. E se altre persone che stimi, per esempio degli insegnanti, ti dicono che è meglio nascondere il tuo vissuto per integrarti…come puoi opporti? E, soprattutto, come puoi andare oltre e riuscire a trasmettere l’orgoglio per la tua cultura? Di qui l’importanza di aumentare la comunicazione e l’informazione riguardo a queste tematiche.
Ci sono poi situazioni nelle quali queste domande si fanno ancora più delicate e l’approccio può realmente influire su tutta la crescita psicologica di una bambina o di un bambino: situazioni come quelle in cui una famiglia arriva da un Paese in guerra. Qui, infatti, subentrano temi che meriterebbero ciascuno un approfondimento a sé, ma proviamo qui a immaginare almeno il contesto: quanto può essere difficile sentire e trasmettere l’orgoglio per le proprie origini, le proprie radici e la propria cultura, quando si è dovuto abbandonare tutto per mettersi in salvo? Quando ci si sente abbandonati dal proprio Paese e, troppo spesso, dal mondo intero, perché magari nel luogo in cui ci siamo trasferiti veniamo visti quasi come dei nemici?
In contesti di questo tipo è quanto mai importante, quindi, che le famiglie abbiano un supporto anche sotto questo punto di vista. Perché abbandonare la propria lingua significa perdere un pezzo di sé, e se abbiamo dei figli significa privare loro delle proprie radici e di una parte fondamentale della loro identità.

Ecco come anche noi, nel nostro piccolo, possiamo trasmettere l’orgoglio per una lingua
Non sono poche le cose che possiamo fare ogni giorno all’interno delle nostre famiglie. Ecco qualche consiglio di Najwa Saady.
- Parliamo la nostra lingua in casa! Altrimenti ci mancheranno le fondamenta.
- Ascoltiamo canzoni nella nostra lingua: la musica è sempre uno strumento che ci viene in aiuto nell’educazione dei nostri figli.
- Se abbiamo parenti o amici che vivono all’estero, organizziamo delle videochiamate: si trasformeranno in piccole immersioni linguistiche.
- Leggiamo! Libri nella nostra lingua ma anche su altre culture, ma far scoprire ai bambini la bellezza e la ricchezza della diversità.
- Giochiamo nella nostra lingua: da adulti, siamo portati a dimenticare o sottostimare il valore del gioco.
- Un ottimo modo per trasmettere una cultura è…cucinarne i piatti! Quando cuciniamo qualcosa di tipico della nostra cultura di origine o di quella che vogliamo trasmettere, approfittiamone per raccontare quei piatti nella lingua target. Una curiosità: QUI puoi trovare il primo di una serie di articoli sulla cucina siriana!
E tu, sei una persona bilingue o multilingue? Quali sono le sfide che incontri ogni giorno? E se hai dei figli, quali di questi aspetti hanno più risuonato in te? Confrontiamoci nei commenti!