Rapimenti in Siria: vittime del regime e di criminali

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Persone che fanno ritorno in Siria e poi svanite nel nulla, uomini arrestati per essere sfuggiti al servizio militare e che non danno più notizie di sé. E poi le vittime di incursioni e sciacallaggi: nella Siria di un dopoguerra che è in realtà guerra a tutti gli effetti, le storie di persone scomparse in Siria sono migliaia e cercano voce.

Rapimenti in Siria: vittime del regime e di criminali.

In questo articolo potrai leggere la storia di Sharif e quella di Hama. Due storie vere – come tutte quelle che troverai su questo sito – che ti porteranno dentro una piaga ancora senza soluzione: i rapimenti in Siria. E non pensare soltanto alle persone ostaggio del regime o di gruppi terroristici: c’è anche il mondo sommerso delle vittime di criminali, che cercano di ottenere un riscatto in cambio di una vita. La comunità internazionale non riesce ad agire: in fondo all’articolo scoprirai perché.

RAPIMENTI IN SIRIA: LA STORIA DI SHARIF.

Immagina di svegliarti una mattina. Ti alzi, ti prepari a buttarti nella tua nuova giornata. Poco prima di uscire, ricevi una telefonata: tuo padre è sparito. Tracce di sangue sono state trovate dentro e fuori casa sua. Qualcuno l’ha trascinato fuori, rapito. Ma non si sa nulla di più.

Comincia così questa storia. Sharif (i nomi sono di fantasia) si trovava a casa sua, a Damasco. Era una mattina come un’altra di sette anni fa. La guerra in Siria stava devastando il Paese dal marzo del 2011.

Nonostante tutto, Sharif riusciva a portare avanti un minimo del suo lavoro, quel lavoro che ha permesso a lui, a sua madre e a sua zia, che viveva insieme a loro, di mangiare ogni giorno. Quella mattina, prima di uscire, qualcuno lo chiamò. Era uno dei parenti che vivevano in un villaggio vicino a Sweida, una città al sud della Siria. Era passato da casa di suo padre, una sorta di piccola cascina in pietra, aveva visto che la porta era spalancata ma lui non era in cortile. Si era insospettito e così, avvicinandosi, aveva notato macchie di sangue sul terreno. In casa non c’era nessuno. Spaventato, era corso fuori e aveva subito chiamato Sharif.

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I RAPIMENTI IN SIRIA E LA QUESTIONE RISCATTI.

Quello stesso giorno, Sharif ricevette un’altra telefonata. “Abbiamo tuo padre, vogliamo soldi”.

Ecco: i rapitori non avevano nulla a che fare con il regime, con l’Isis o con qualsiasi altro tipo di opposizione. Erano dei criminali, sciacalli che avevano visto in un uomo solo l’opportunità di fare soldi. Forse lui aveva confessato – o forse loro lo sapevano già – di avere un figlio a Damasco che riusciva a lavorare, a dispetto della guerra. Non solo: Sharif aveva un fratello in Italia: cosa che, agli occhi dei rapitori, significava ancora più soldi.

Ma lasciamo da parte queste supposizioni. I rapitori chiesero 5.000 dollari: una cifra enorme per un siriano, soprattutto in tempo di guerra, impossibile da mettere insieme. Sharif chiamò subito suo fratello, che viveva a Milano ormai da due anni e lavorava come cameriere in un ristorante di lusso. I due ragazzi non avevano idea di che cosa fare, il fratello di Sharif aveva già messo da parte quella somma ma aveva anche un figlio a cui pensare. Nonostante tutto, non ci pensò due volte: avrebbero pagato per riavere il padre.

Nessuno, però, telefonò a Sharif. I rapitori non si fecero più sentire. E oggi, a distanza di sette anni, quell’uomo non ha neanche una tomba su cui i familiari possano piangerlo. Nel villaggio del padre, racconta Sharif, si dice che il corpo del padre sia stato abbandonato in una delle fosse comuni in cui vengono letteralmente buttati i cadaveri, per toglierli dalle strade.

RAPIMENTI A OPERA DEL REGIME: LA STORIA DI HAMA.

Anche Hama sta vivendo una situazione simile. Siriana, oggi abita nella provincia di Milano. Un suo cugino è di recente tornato in Siria per andare a trovare la mamma in fin di vita, nella provincia di Aleppo. Non tornava da anni, cioè da quando si era rifugiato in Libano, sfuggendo così al servizio militare.

La donna desiderava così tanto rivedere suo figlio prima di morire che, tramite una lunga catena di conoscenze, era riuscita a spargere la voce e a ottenere di essere contattata dalla polizia locale. Gli ufficiali le assicurarono che non ci sarebbe stato alcun problema, che il figlio avrebbe potuto tornare a visitarla e poi ritornare in Libano. Qualcuno aveva anche chiamato per telefono l’uomo, assicurando anche a lui che sarebbe potuto tornare senza temere ritorsioni – per non essere entrato nell’esercito.

Ebbene, quella madre non ha mai rivisto il figlio. L’uomo è tornato, è stato arrestato e non se ne è più avuta traccia. La mamma si è trascinata fino alla prigione per avere notizie: ha ottenuto in cambio soltanto la valigia del figlio.

rapimenti in siria
OLTRE 100.000 RAPIMENTI IN SIRIA.

La storia del padre di Sharif e quella del cugino di Hama sono solo due tra migliaia – e sicuramente tra milioni, se si allarga l’obiettivo ad altri Paesi. Tante sono le vittime che l’ONU raccoglie sotto il cappello di “Scomparsi”. Un recente rapporto della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sulla Siria ha stimato che negli undici anni di guerra in Siria oltre 100.000 persone sono scomparse e ha documentato l’esistenza di fosse comuni. Sullo stesso si legge anche che “detenzioni in condizioni di isolamento e sparizioni accadono continuamente e sono il sintomo dell’assenza della volontà politica, di tutte le parti in causa, di occuparsi della situazione: e c’è anche una mancanza di unità tra i membri del Consiglio di Sicurezza (dell’Onu, n.d.r.) su come affrontarla”.

I RAPIMENTI E LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE.

Mancanza di volontà da una parte, e mancanza di intesa dall’altra. Non solo del regime, ma della comunità internazionale. Il risultato? Centinaia di migliaia di persone che cercano di ottenere informazioni sui propri familiari, informazioni che non arrivano mai. Il quadro è aggravato dalla moltitudine di attori coinvolti nella guerra – l’ho spiegato in modo semplice qui .

Tornando alla Siria, l’auspicio della Commissione Internazionale Indipendente è quello di adottare una strategia che sensibilizzi innanzitutto il regime, dal momento che le sparizioni e le detenzioni immotivate erano un problema serio ancor prima dello scoppio della guerra. Ma resterebbe il problema di tutte quelle aree che non sono sotto il controllo di Assad e dove sarebbe impossibile investigare.

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