Terremoto in Siria e Turchia: che cosa impariamo dai media?

Il terremoto in Turchia e Siria è stata una tragedia di proporzioni enormi. Le vittime accertate hanno superato le 50mila. Ma è stata anche una tragedia a cui se ne sono sommate altre – e che, nel caso della Siria, è andata a sommarsi ad altre.

In questo articolo affrontiamo la catastrofe sotto un aspetto diverso: quello della pericolosità di soffermarsi su notizie secondarie, di poca rilevanza, quando si parla di Medio Oriente (e non solo, certo), notizie che sono prive di utilità e vanno addirittura ad alimentare pregiudizi già esistenti solo per aumentare click, lettori e ascoltatori. Tanto più che nell’ambito di una tragedia che ha visto la morte di migliaia di persone, un approccio simile degenera verso la disumanizzazione delle vittime.

Eppure, una tale impostazione è sempre più attuale e quanto mai diffusa nell’epoca in cui viviamo: epoca di fast news e post verità.

Che cos’è la post verità?

A qualcuno sarà capitato più spesso, ad altri meno, ma più o meno tutti abbiamo avuto a che fare con delle “bufale”, le fake news. Notizie false che circolano solo per suscitare scalpore, condivisioni di post e articoli di blog. Ecco, la post verità è un concetto simile ma più profondo. In questo caso, la notizia è secondaria: quello che conta sono le emozioni che riesce a suscitare. È proprio intorno ai sentimenti che si comincia a imbastire la notizia, manipolandola in base ai propri obiettivi.

Gli esempi sono molti soprattutto nelle campagne politiche, quando una notizia serve a screditare gli avversari. Si va, insomma, oltre la verità, come ha scritto anche l’Accademia della Crusca.

Terremoto in Siria e Turchia: i pregiudizi nei media.

Eppure, il cosiddetto fact checking, il controllo delle notizie, sta alla base di qualsiasi articolo – e aggiungerei: non solo di articoli giornalistici. Chiunque dovrebbe sempre verificare quello che scrive o che dice, perché una notizia può arrivare ovunque in un secondo e, se è falsa, continua a circolare anche quando viene smascherata.

Facciamo subito qualche esempio pratico. Poco dopo il sisma del 6 febbraio, testate italiane anche importanti come Il Corriere e hanno pubblicato una “notizia” sulla figlia del presidente siriano Bashar Al-Assad, sulla home page del sito e in posizione rilevante. Anche il titolo era forte: “Il diktat di Zein, la figlia di Assad: attenti, non aiutate in quelle zone”.

Una notizia che non ha dato alcuna altra autorevole testata internazionale. E già questo basterebbe per far scattare un allerta. Perché? Perché una notizia del genere, se fosse stata vera, sarebbe rimbalzata da Al Jazeera alla Cnn, passando per la Bbc.

teresa potenza

E allora, come stanno le cose?

  • Negli articoli italiani si parla di un post che la figlia del presidente avrebbe pubblicato su Instagram per distogliere i suoi follower dall’inviare aiuti economici nelle zone terremotate non controllate dal governo. Il punto è che questo post non si riesce a trovare: sembrerebbe invece che la ragazza avesse risposto a dei messaggi personali di suoi follower, fra l’altro senza i toni del diktat.
  • Negli articoli si legge come “la ragazzina” avesse sempre vissuto a Londra tra “costose scuole e una passione per il cachemire”. Tutto vero, sì: ma le parole utilizzate non vanno forse a costruire una immagine della giovane come piccola dittatrice senza beneficio del dubbio, solo perché figlia di Assad? Questo è un esempio lampante di post verità.
  • Questa sorta di racconto è stato pubblicato un giorno dopo il terremoto: meritava davvero tutta quella importanza, tanto più che la notizia non era stata verificata? E non sarebbe stato di maggiore utilità pubblica approfondire altri aspetti legati alla situazione in Siria? Forse sì, ma forse i click sarebbero stati meno.
  • A ogni modo, pur volendo dare comunque spazio alla figlia di Assad, si sarebbero potute affiancare le affermazioni di personaggi ben più pertinenti: per esempio le dichiarazioni di rappresentanti di Paesi che, subito dopo il sisma, hanno precisato che non avrebbero mandato aiuti nei luoghi in cui l’interlocutore fosse stato il governo dello stesso Assad.

Il bias di conferma.

Ma andiamo ora dall’altra parte del cerchio. Nei giorni immediatamente successivi al terremoto in Siria e Turchia non sono mancati, soprattutto sui social, i commenti di persone che si chiedevano se certe immagini fossero vere perché “dai, come fanno a riprendere le persone sotto le macerie se non hanno più nulla?”. Beh, esattamente come quando accadono cose simili in Italia.

Oppure, i commenti di quanti non riuscivano ad ammettere che la popolazione siriana non è stata aiutata per tempo a causa di circostanze slegate dal terremoto. Com’è possibile fare certe affermazioni? Andando a guardare solo un certo tipo di immagini: per esempio, quelle in cui squadre di soccorso dotate di equipaggiamento adeguato e cani addestrati tiravano fuori persone. Senza, però, andare a leggere che quelle immagini provenivano da una sola zona colpita: la Turchia, nel nostro caso specifico.

Ma perché si desidera negare fatti di questo tipo? Per confermare a se stessi (prima che agli altri) che certi popoli e certe culture sono peggio delle altre – o almeno questa è la risposta a cui sono arrivata io. Persone che magari si lamentano perché questa è l’unica cosa che sanno fare, oltre a chiedere soldi ai governi occidentali.

Eppure, per tornare al nostro esempio pratico, per screditare questa visione basterebbe pensare alle dichiarazioni arrivate proprio dalle Nazioni Unite. Sei giorni dopo il sisma, il Sottosegretario generale per gli Affari Umanitari dell’Onu Martin Griffiths ha ammesso in un tweet che le persone nel nord ovest della Siria “hanno ragione a sentirsi abbandonate”: “Abbiamo deluso i cittadini nel nord ovest della Siria” e l’unica strada da percorrere adesso è quella di “correggere questo fallimento il più velocemente possibile”.

Il ruolo della comunità internazionale

Mentre riporto queste parole, mi vengono in mente quelle di Tiziano Terzani nel suo libro “Un indovino mi disse”. Lì, il grande giornalista rifletteva sul lavoro delle Nazioni Unite in Cambogia: “Con la loro presenza (le Nazioni Unite, n.d.r.) avevano ridato fiducia agli uomini d’affari”…..”Il processo di pace aveva reintrodotto quella logica dell’economia di mercato che non conosce principi tranne quello del profitto”.

E adesso chiedo a te leggi: ti sei mai soffermata/o su notizie palesemente ispirate dal bias di conferma? Credi di riuscire a distinguerle e, se no, vorresti avere gli strumenti per farlo? E quanto al bias di conferma verso il Medio Oriente, sei d’accordo con questa visione o ne hai una opposta?

Scrivimi qui nei commenti così ci confrontiamo!

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