Turchia e diritti umani: condanne al sindaco di Istanbul e a giornalisti

Con due condanne arrivate nel giro di poche ore, la Turchia torna sotto i riflettori per la questione dei diritti umani. In questo articolo ne capiremo i motivi e allargheremo anche lo sguardo ai rapporti con l’Europa e con il resto della comunità internazionale.

Diritti umani e condanne per oltraggio e diffamazione.

Una condanna per “oltraggio a pubblici ufficiali”: è successo al sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, che mercoledì 14 dicembre ha subìto una pena di due anni e sette mesi. E poi è arrivata anche una condanna per diffamazione: al giornalista Sinan Aygul (della provincia di Bitlis, a maggioranza curda). Due condanne con cui, nel giro di poche ore, la Turchia torna sotto i riflettori anche per la questione dei diritti umani.

Perché è stato condannato il sindaco di Istanbul?

Imamoglu è il sindaco di Istanbul, città di circa 16 milioni di abitanti. La sua elezione, nel 2019, fu una grossa sconfitta per il presidente turco Erdogan, poiché Imamoglu è uno dei leader dell’opposizione. Tra l’altro, quelle elezioni furono tutt’altro che lineari: al primo turno i risultati vennero annullati. A quella notizia, Imamoglu definì “stupidi” coloro che annullarono quel voto. E all’elezione successiva, vinse di nuovo.

La condanna di oggi, quindi, assume anche un significato simbolico, perché il sindaco di Istanbul è tuttora uno dei rivali di Erdogan alle prossime elezioni.

Quando si terranno? Tra sei mesi, nel giugno del 2023. Ecco anche perché la condanna sembra arrivare giusto in tempo per mettere il sindaco fuori gioco. Infatti, anche se non sconterà la pena di due anni e sette mesi in carcere, gli sarà impedito di partecipare alla vita politica.

Imamoglu – che non è il primo tra gli oppositori di Erdogan a subire una condanna simile – ricorrerà adesso in appello, ma la notizia ha già scatenato reazioni non solo in Turchia, ma anche a livello internazionale. Subito, nella giornata di giovedì 15 dicembre, centinaia di persone si sono radunate attorno a Imamoglu che, dal tetto di un autobus, ha denunciato la mancanza di democrazia nel Paese. Ma ha anche ribadito come non si possa fermare una città da 16 milioni di abitanti e che “cambieremo le cose con le prossime elezioni”.

Washington ha parlato di una condanna non rispettosa dei diritti umani e Human Rights Watch ha sottolineato come questo verdetto sia un “attacco al processo democratico”.

I giornalisti condannati per diffamazione.

Passiamo ora alla notizia di un altro arresto che fa discutere: quello del giornalista turco Sinan Aygul della provincia di Bitlis, a maggioranza curda) accusato di “diffamazione”. Aygul aveva denunciato su Twitter le violenze di alcuni membri della polizia nei confronti di una bambina ed è stato immediatamente arrestato.

Dopo l’arresto, il giornalista ha fatto dietro front. I tweet sono stati cancellati e Aygul si è “scusato per non aver prima ascoltato la versione della polizia” per confermare o meno le parole della piccola.

Questo è solo l’ultimo di una serie di arresti avvenuti nei confronti di giornalisti della stampa indipendente. Non solo: oggi, in caso di diffamazione, il giornalista viene immediatamente messo sotto custodia e soltanto dopo viene avviato il processo di indagine, che porterà alla conferma o smentita delle accuse.

Com’è possibile? È possibile da quando, nello scorso mese di ottobre, il parlamento turco ha approvato una legge proposta dallo stesso presidente Erdogan: una legge che prende di mira la “disinformazione”, in base alla quale i giornalisti rischiano fino a tre anni di carcere.

Una recente indagine dell’agenzia di stampa Reuters ha anche fatto emergere come la stampa mainstream turca sia sempre più controllata dalla presidenza, facendole così da cassa di risonanza. Dall’altra, le testate indipendenti si ritrovano davanti a un bivio: auto-censurarsi o rischiare il carcere senza presunzione di innocenza.

La condanna al sindaco di Istanbul sembra incastrarsi con tutte le altre manovre che puntano a spianare la strada a Erdogan in vista delle elezioni presidenziali. Mentre, dall’altra parte, la comunità internazionale non sa come schierarsi – e non solo in merito alle condanne di cui abbiamo appena parlato.

Allarghiamo allora lo sguardo a una dimensione più ampia. E cominciamo a vedere alcune di queste ambiguità.

Istanbul e moschea al tramonto

La lotta contro l’Isis.

Vi ricordate ancora l’Isis, vero? Il cosiddetto Stato Islamico, responsabile di attacchi terroristici che hanno giustamente occupato le prime pagine di ogni testata giornalistica e non solo. Che non se ne parli di frequente, non significa che oggi sia tutto sotto controllo, anzi. Una delle situazioni più sottovalutate al riguardo è proprio quanto accade al sud della Turchia, cioè al confine con la Siria, una zona popolata da curdi siriani.

I curdi siriani sono nel mirino di Ankara perché teme i legami con il PKK, il partito dei lavoratori considerato organizzazione terroristica anche dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Ma i curdi siriani hanno finora avuto l’appoggio di Washington, perché hanno avuto e hanno un ruolo fondamentale nella lotta contro l’Isis. Senza questo sostegno, i curdi siriani si troverebbero a dover combattere su due fronti: quello turco e quello contro l’Isis.

Non solo: Il territorio siriano a maggioranza curda ha anche riserve importanti di gas e petrolio.

L’appoggio di Washington ai curdi siriani, però, sta venendo a mancare. Perché? Sul piatto ci sono proprio le relazioni con Ankara.

      Questione migranti.

      Erdogan minaccia da tempo di voler rimpatriare gli oltre tre milioni di profughi siriani, che Ankara ha accolto dall’inizio della guerra in Siria. In Turchia sono aumentati gli episodi di violenza nei confronti dei rifugiati siriani negli ultimi anni, perché il Paese è arrivato allo stremo delle sue condizioni economiche. Rimpatriando i siriani – processo già iniziato, peraltro – Erdogan potrebbe riguadagnare punti in vista delle elezioni di giugno.

      Ricordiamo che in Siria la guerra non è finita (puoi approfondire qui). Su questo, la comunità internazionale non ha una posizione chiara.

      Influenza internazionale.

      É del 15 dicembre la notizia dell’intenzione di Erdogan di voler dare nuovo slancio proprio alle relazioni con Damasco, attraverso l’intermediazione della Russia: “Intendiamo rafforzare la triade Russia-Turchia-Siria”, ha detto Erdogan. E ha aggiunto che l’obiettivo è quello di far lavorare insieme Intelligence, ministeri della Difesa e ministri degli Esteri. Sembra un controsenso?

      In un certo senso è un controsenso. Ma è anche vero che Erdogan sta sondando il terreno per valutare le reazioni e scegliere la strada migliore per assicurarsi la rielezione a giugno e ritrovare prestigio.

      E adesso tocca a te: fammi sapere che cosa vorresti approfondire e, se hai domande, scrivimi pure nei commenti o contattami sui social, ti risponderò con molto piacere!

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