Viaggiare in tempo di guerra: storie dalla Siria

Viaggio

Viaggiare in tempo di guerra per riabbracciare la propria famiglia: le persone che decidono di farlo sono molte più di quanto pensiamo. Una di questa storie percorre la Siria.

Qui ti racconto la storia di Habib, che oggi vive in Canada ma ha deciso di viaggiare in una Siria ancora in guerra, per visitare la sua famiglia.

Si presenta con un bicchiere di mette in mano – un infuso che in Siria bevono tutti, a ogni ora del giorno e della notte. E appena lo vedo mi metto a ridere, perché è esattamente quello che sto bevendo io.

È una domenica mattina. Ho il cellulare davanti a me e sullo schermo c’è Habib Al Hibrahim, un mio caro amico fin dai tempi in cui abitavo a Damasco. Ora che ci penso, lo conosco da ben dodici anni. Non è un’intervista semplice, perché mentre parliamo Habib si trova a Damasco e la connessione è molto lenta. In realtà non speravo di riuscire a sentirlo mentre si trovava Siria, perché l’elettricità è presente poche ore al giorno e non è scontato avere i cellulari sempre carichi. “Qui noi, come tanti altri, utilizziamo dei generatori di elettricità, in modo da avere una copertura anche nelle altre ore del giorno”, mi spiega Habib.

L’elettricità non è l’unica cosa che manca: anche l’acqua arriva soltanto alcune ore al giorno ed è per questo che ogni famiglia è attrezzata con grandi taniche, che riempie e mette da parte per lavare cose e persone.

VIAGGIARE IN TEMPO DI GUERRA: LA PARTENZA E IL RITORNO. Habib è nato e cresciuto proprio a Damasco. Nel 2014, tre anni dopo lo scoppio della guerra, si trasferì a Vancouver con la sua compagna dell’epoca, canadese. Nel 2018 tornò in Siria per riabbracciare la madre e la sorella, in pieno conflitto.

E lo scorso novembre si è messo di nuovo in viaggio: “Quattro anni sono tanti senza vedere la tua famiglia”, mi confida. “Ecco perché ho voluto comunque tornare, nonostante la situazione in Siria non sia migliorata come forse si pensa: dovevo rivedere mia madre e le mie due sorelle”. E viaggiare in tempo di guerra è diventata una sfida obbligata.

Habib è atterrato all’aeroporto di Beirut, in Libano, all’inizio di novembre. Da lì ha preso un taxi che lo portato a Damasco. Da quando è iniziata la guerra non si può volare in Siria: l’unico modo per entrare nel Paese è via terra.

“Lungo la strada non abbiamo avuto problemi: c’erano posti di blocco (dell’esercito siriano, n.d.r.), sì, ma non ci ha fermati nessuno” mi racconta Habib.

Gli chiedo se non avesse avuto paura di essere fermato dall’esercito: i maschi maggiorenni vengono tutti reclutati. Chi rifiuta è considerato un disertore e, quindi, arrestato. “Certo, ma questo non vale se sei l’unico figlio maschio della famiglia” mi spiega: tradizionalmente, il maschio è considerato “colui che sostiene tutta la famiglia” e si cerca di preservare questo principio anche in condizioni di guerra.

Collage di immagini da Damasco
Collage di immagini da Damasco – pics by Habib al-Hibrahim and Teresa Potenza

Habib mi racconta una Damasco che sembra un’oasi felice, vista da fuori: “Se non fosse per le sirene che suonano quando c’è rischio di bombardamenti oppure per il cielo, che spesso di notte si illumina a causa delle esplosioni, la guerra sembrerebbe soltanto un ricordo”.

Perché? Perché i negozi sono aperti, la gente frequenta moschee e chiese. Le scuole, l’università, i cinema, il Teatro dell’Opera: tutti funzionanti. Il suq Al-Hamidiya, il più grande della città e il più famoso di tutta la Siria, pullula di gente (quasi) come prima. E anche i caffè e i ristoranti sono aperti, con qualche aggiustamento nei rispettivi menu. Alcuni piatti non si possono preparare perché mancano gli ingredienti, mentre l’insalata non viene più servita: negli ultimi mesi in Siria sono aumentati i casi di colera, proprio a causa della scarsità di acqua.

I bambini sono tornati a giocare per strada a Damasco. I giovani escono la sera, si ritrovano in centro, organizzano feste ma, soprattutto le ragazze, cercano di muoversi in compagnia.

Fuori dalla Città Vecchia, cioè il centro storico di Damasco, i palazzi sono ancora in piedi, ma tanti portano sulle facciate i buchi provocati da proiettili.

Dopo aver trascorso qualche giorno a Damasco, Habib ha preso un altro taxi insieme alla madre e alle due sorelle per raggiungere Homs, dove risiede una parte della sua famiglia. “Lì, le cose sono ancora più difficili” continua.

VIAGGIARE IN TEMPO DI GUERRA: LA STRADA VERSO IL NORD. Appena si esce da Damasco c’è un altro mondo. Habib ha avuto fortuna, perché lungo la strada ha trovato sempre tutto tranquillo, ma i posti di blocco sono frequenti. “Quello che mi ha fatto davvero male è vedere tanta desolazione” mi confida: la desolazione delle case distrutte e delle strade deserte.

Una volta arrivato alla periferia di Homs, Habib ha riabbracciato alcuni suoi parenti, che possiedono un piccolo terreno coltivato a ulivi. “Producono olio e lo vendono localmente, oppure lo barattano con altro cibo” mi spiega.

STORIE DALLA SIRIA: IL BARATTO. Il baratto si è diffuso nel Paese dopo l’inizio della guerra, soprattutto fra chi vive di ciò che producono i propri terreni: quando un raccolto viene venduto in cambio di soldi, infatti, la perdita è enorme. Un esempio su tutti è ciò che avviene in un’altra città nel nord ovest del Paese, Idlib, roccaforte dei ribelli di Hayat Tahrir al-Sham, un gruppo nato all’interno di Al Qaeda.

L’olio di Idlib è famoso anche al di fuori del Medio Oriente, tant’è che in passato i produttori lo hanno venduto piuttosto caro anche in Europa. Oggi un intero raccolto vale dai 10 ai 100 euro: niente per una valuta come l’euro, molto per la lira siriana, benché non sufficiente per mantenere una famiglia per un anno intero.

Con il baratto, invece, si possono fare affari molto migliori e si riesce a tenere anche qualcosa per sé.

“A Homs manca l’elettricità quasi tutto il giorno e l’acqua arriva ogni tanto, spesso addirittura a giorni alterni, il riscaldamento invece è quasi un miraggio, a causa dei prezzi altissimi” continua Habib. Trovandosi in campagna, Habib e la sua famiglia si riscaldavano con un fuoco acceso in giardino o nel camino della cascina.

Il riscaldamento avviene attraverso stufe a gasolio, che ha raggiunto prezzi altissimi. Ed è così che ogni inverno è un dramma in tutta la Siria: le famiglie non possono permettersi di riscaldare le proprie case, o magari lo fanno per poche ore al giorno perché una tanica di gasolio deve durare tutta la stagione.

Collage di immagini dalla Siria
Olive e arak in Siria – pics by Habib al-Hibrahim and Teresa Potenza

“Un giorno, un mio amico che fa parte dell’esercito siriano è venuto a trovarci a Homs” continua Habib. “Insieme abbiamo preparato l’arak: non ne bevevo di così buono dai tempi in cui vivevo in Siria”.

L’arak è una sorta di bevanda nazionale in Siria e in altri Paesi del Medio Oriente. La gradazione alcolica può variare molto, ma la versione più forte è sicuramente quella più diffusa e viene spesso servita con ghiaccio o allungata con acqua. Elemento distintivo sono i semi di anice, per cui il risultato finale ricorda un po’ alcuni liquori italiani, come la sambuca.

Dopo aver trascorso una settimana a Homs, Habib, sua madre e le sorelle sono tornati a Damasco, perché da lì sarebbe partito il taxi che lo avrebbe riaccompagnato a Beirut, poi il volo per il Canada. “Spero non trascorreranno altri quattro anni prima che io possa ritornare qui”, mi dice.

VIAGGIARE, TORNARE A CASA O RESTARE? Già, perché anche se le bombe sono diminuite, il Paese di fatto è ancora in uno stato di guerra. Eppure, non tutti pensano ad andarsene. Qualcuno non riesce a immaginarsi lontano dal proprio Paese, altri hanno troppa paura di ritrovarsi in una situazione peggiore, nel momento in cui dovesse lasciare la Siria. I più giovani, poi, sono cresciuti pensando che la guerra sia la normalità e questo ha spento ogni speranza.

Alcuni, invece, quella speranza non l’hanno persa. E quando non si buttano in viaggi verso l’ignoto o non cercano asilo perché scelgono di restare in Siria, tentano altre strade per far viaggiare la propria voce: la strada della fama sui social per esempio, oppure quella dello studio o dell’arte. Ci sono, infatti, gruppi di giovani che fanno appello alle università straniere per poter continuare a studiare all’estero. Di solito si muovono in gruppo, per ottenere maggiore visibilità. Qualcuno ci riesce, molti altri no.

C’è qualcosa di più che vuoi sapere su questa o altre storie simili? O hai anche tu una storia simile da raccontare? Scrivimi nei commenti o sui social, ne parleremo insieme!

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