Ci sono bilanci che è bene ricordarsi di fare spesso, non solo a fine o inizio d’anno. Uno di questi è sulla violazione dei diritti umani. In questo articolo approfondiamo le condizioni dei civili in Siria, grazie agli ultimi rapporti pubblicati a gennaio 2023. Ma ci spingiamo anche oltre, cercando di capire alcuni dei motivi che rendono difficile cambiare le cose e che vanno al di là di uno stato di guerra: dalle relazioni internazionali al traffico di droga.
Le molte forme delle violazioni dei diritti umani.
Espropriazione delle proprietà e rapimenti, arresti arbitrari, sfollamenti e instabilità generale: queste sono solo alcune delle violazioni di diritti umani documentate in Siria. Nel complesso, sono stati documentati 2.221 casi di civili arbitrariamente arrestati nel Paese nel 2022: di questi, 148 sono bambini. È quanto emerge dal rapporto che SNHR (the Syrian Network for Human Rights) ha pubblicato nel gennaio 2023.
Non si pensi, però, soltanto a operazioni effettuate dal governo: quest’ultimo è responsabile di 1.017 di quegli arresti arbitrari. Alla SDF (Syrian Democratic Forces) sono imputati 633 arresti arbitrari (93 bambini), alle altre forze di opposizione 369 (di cui 4 minori) e alla HTS – Hay’at Tahrir al-Sham, costola di Al-Qaeda – 202 (e 13 bambini).
Che cosa sono gli arresti arbitrari?
Si parla di arresti arbitrari quando le persone vengono “trattenute senza accusa né processo, talvolta sottoposte a sparizione forzata in evidente violazione del diritto internazionale”, per usare la definizione di Amnesty International.
Persone che scompaiono nel nulla, che non possono comunicare con l’esterno e ai cui familiari non viene data alcuna notizia: sono migliaia i civili che si trovano in queste condizioni nel mondo. Cliccando qui puoi leggere quello che mi hanno raccontato Hama e Sharif, due siriani che hanno condiviso la propria storia e hanno dato voce a quel momento in cui si sono visti sottrarre, da un giorno all’altro, un familiare.
Violazioni dei diritti umani: le uccisioni.
I civili uccisi in Siria nel 2022 sono stati 1.057: 251 vittime erano bambini, mentre 133 sono morte in seguito a tortura. Di queste persone, quasi il 70% ha perso la vita a causa di bombardamenti o scontri, ai quali gli osservatori non sono riusciti ad attribuire l’origine.
Nel momento in cui stiamo per pubblicare questo articolo, arriva la notizia dei dati aggiornati al 31 gennaio 2023: nel primo mese dell’anno 65 civili sono stati uccisi, di cui 16 bambini.

Ci sono poi le vittime delle bombe a grappolo: di che cosa si tratta, esattamente? Di tutti quegli esplosivi che, una volta lanciati, spargono molti altri ordigni più piccoli, che cadono quindi “a grappolo”, andando a colpire aree più vaste.
Le persone morte per questo tipo di esplosivi, dal luglio 2012 al gennaio 2023 sono 1.053, inclusi 394 minori, nell’arco dell’intero conflitto siriano. Quello delle bombe a grappolo resta un enorme problema nel Paese che minaccia anche per le generazioni future, dal momento che non si è in grado di conoscerne la posizione: si stima infatti che il 40% degli esplosivi utilizzati in guerra siano rimasti inesplosi.
A questi numeri, però, vanno aggiunti anche altri: quelli di tutti gli operatori che cercano di portare aiuto alla popolazione. Si stima che siano state almeno sei le vittime tra il personale medico nel 2022. Tre, invece, le morti documentate tra i giornalisti.
Le morti tra i civili avvengono soprattutto a causa di scontri e bombardamenti su strutture di utilità pubblica: parliamo di ospedali e scuole, di mercati, negozi e uffici.
Violazioni dei diritti umani: gli sfollamenti.
Quando si parla di “sfollati” il collegamento che spesso si fa è a tutte quelle persone che scappano da una guerra lasciando il Paese. Ma il numero di persone che invece restano, ma sono costrette ad abbandonare comunque la propria casa per cercare posti relativamente più sicuri resta alto; e a questo si aggiungono i civili ai quali la proprietà viene tolta o occupata dalla forze in campo.
Si stima che 75.000 persone, soltanto nel 2022, siano state costrette ad abbandonare la propria casa, a causa delle operazioni militari.
In parallelo a questo fenomeno se ne sviluppa un altro, completamente opposto: “la falsa narrativa” (per usare le parole degli osservatori di SNHR) promossa dal governo in merito al rientro di siriani, scappati in altri Paesi in seguito alla guerra. Perché “falsa narrativa”? Perché Damasco, attraverso i mezzi di informazione controllati e anche a livello diplomatico, promuove l’immagine di una Siria accogliente, che sta cercando di riportare a casa i propri cittadini in modo da avviare il processo di ricostruzione. Il punto è che non ci sono strutture per ospitare queste persone.
Non solo: stando a interviste rilasciate agli osservatori, alcuni cittadini si sarebbero addirittura visti costretti a pagare del denaro al loro rientro, mentre abitanti di vari villaggi sarebbero stati “invitati” a posare tutti insieme per i reportage fotografici organizzati dal regime, al fine di promuovere immagini di amorevole accoglienza e di rientri in patria in totale sicurezza.

Ma la guerra è davvero l’unica causa di questa situazione?
No: ci sono altri fattori che ostacolano una vera ripresa del Paese. Anzi, la radice del problema starebbe tutta nel “dispotismo” a più livelli, stando agli osservatori di SNHR. Il primo livello è quello del governo: un regime governato da una sola famiglia – Assad – che detiene il potere dagli anni Settanta, cioè quando salì al governo Hafiz Al-Assad, padre dell’attuale presidente Bashar.
C’è però un secondo livello: quello delle altre forze in campo: “Anche le altre autorità de facto nel territorio rigettano qualsiasi tipo di democrazia”, sottolinea il rapporto di SNHR.
Ecco che allora appare chiaro come si possa mettere la parola “fine” alla violazione dei diritti umani soltanto trovando una transizione politica che coinvolga tutte le parti in campo, affiancate però dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e dalle organizzazioni umanitarie.
Il (non) coinvolgimento della comunità internazionale
E qui sta un altro punto critico: la scarsa concretezza, chiarezza e presenza della comunità internazionale, che sta anzi portando a una situazione paradossale: l’appoggio, più o meno velato, al governo attuale. Tanto che, al posto di facilitare una transizione politica, si sta tornando a legittimare il regime. Tralasciando Russia e Iran, da sempre alleati di Damasco, anche la Turchia si sta riavvicinando al governo siriano, così come gli Stati della Lega Araba.
Ma questo avvicinamento a Damasco significa anche legittimare le condizioni in cui versano milioni di civili, dei quali ben il 90% vive sotto la soglia della povertà.
Captagon: il traffico di droga che finanzia tutti
I traffici illegali. La guerra e il caos politico hanno offerto terreno fertile al traffico di droga, tanto che la Siria si sta trasformando in un nuovo “narco-Stato”, com’è già stato definito dalla stampa internazionale. La droga di cui Damasco è diventato primo produttore si chiama captagon: ne parleremo in un articolo dedicato molto presto.
A ogni modo, nella produzione di captagon sono coinvolti tutti i protagonisti del conflitto interno siriano: dal governo alle forze di opposizione. Si stima che il business del captagon valga circa 5 miliardi di dollari l’anno ed è così diventata una voce fondamentale nella lista delle entrate economiche delle forze in campo – se non la voce principale.
Con una transizione politica, difficilmente gli stessi attori riuscirebbero a mantenere il controllo su un traffico così remunerativo: di qui il muro che impedisce ogni tipo di trattativa.

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